Nel settimo libro della Repubblica Platone sembra vagheggiare un mondo governato dai matematici, ma la storia – purtroppo o per fortuna? – non ha dato seguito al suo suggerimento. Ci sono stati politici di estrazione matematica, o tentativi più o meno riusciti di socialismo «scientifico», quell’utopia però è rimasta tale. Non così in letteratura. I classici ci propongono infatti svariati modelli di società matematiche, come l’isola del terzo viaggio di Gulliver, sperduta tra le nuvole e popolata di abitanti goffi e sbadati. In realtà, tra gli scrittori «matematica » è spesso sinonimo di rigidità, oppressione, predeterminazione soffocante contro cui ribellarsi: la vita è «pur sempre la vita, e non solo una radice quadrata » protesta Dostoevskij. Ma forse le cose non stanno proprio così, e anche in letteratura – nei testi di Borges, Carroll, Musil, Queneau e molti altri – emerge un’altra immagine della matematica, che è invece gusto del paradosso e dell’aforisma, libertà dagli schemi, fantasia di inventarne di nuovi, levità e giocosità.
È di queste matematiche esotiche e variegate che ci parla Carlo Toffalori, presentandole come ci vengono dipinte da vari autori. Senza trascurare qualche divagazione stuzzicante, su matematica e teologia, per esempio, o sulla matematica dell’amore, dai matrimoni a tre sessi di Asimov alle prodezze aritmetiche di Don Giovanni e Casanova.
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