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sabato 9 febbraio 2013

Il primo mammifero con la placenta

Via Wired.it
di Martina Saporiti


Piccolo, ricoperto da pelliccia, con una lunga coda e zampe corte. Non è un topo ma il progenitore dei mammiferi placentati, un animaletto dal peso poco superiore ai 200 grammi e ghiotto di insetti che, circa 66 milioni di anni fa, ha occupato le nicchie ecologiche lasciate vacanti dai dinosauri e dagli altri animali spazzati via da uno dei più grandi eventi di estinzione della storia della Terra. L’identikit di questa creatura è stato ricostruito da un gruppo di ricerca coordinato da Maureen O'Leary della Stony Brook University, in Usa, grazie all’analisi di tratti anatomici e dati genetici ricavati da 86 specie di mammiferi placentati, viventi e fossili. Tutti i dettagli dello studio sono nell’articolo pubblicato su Science.
 Quando ha avuto inizio il processo di diversificazione che ha portato alla comparsa delle oltre 5 mila specie di mammiferi placentati oggi esistenti? I ricercatori se lo chiedono da anni, e non sempre sono arrivati alle stesse conclusioni. Basandosi esclusivamente sui fossili, alcuni hanno collocato l’origine del primo mammifero dotato di placenta (l’organo che regola gli scambi metabolici tra madre e figlio) subito dopo l’estinzione del Cretaceo-Paleocene (K-Pg) avvenuta all’incirca 66 milioni di anni fa. Fu un evento che eliminò il 75% delle specie allora presenti sulla Terra, dinosauri non aviani compresi. È naturale che con la scomparsa di tutti questi animali si liberarono spazi e risorse, e di questa improvvisa abbondanza approfittarono i mammiferi placentati che iniziarono a diversificarsi così da evitare una competizione interna.
 A partire dagli anni ’90, però, la crescente disponibilità di dati genetici ha rivoluzionato questo scenario spostando l’origine e la diversificazione della linea evolutiva dei mammiferi placentati al tardo Cretaceo, prima dell’estinzione K-Pg a cui, secondo questa ipotesi, sopravvissero. Qual è la storia più convincente? Per scoprirlo, l’équipe di O’Leary ha deciso di combinare l’analisi dei fossili con quella del DNA. In questa operazione, di grande aiuto è stato il progetto fondato dalla National Science Foundation conosciuto come MorphoBank, un immenso database di immagini e dati anatomici di animali estinti e viventi. Da questa banca dati, i ricercatori hanno scelto 86 specie di mammiferi placentati (di cui 40 fossili) da cui hanno selezionato oltre 4.500 tratti fenotipici come la presenza o assenza di denti, ossa particolari, pelliccia.
 Mappando questi tratti fenotipici sull’albero genealogico dei mammiferi placentati, e combinando quest’approccio a quello dell’analisi genetica, i ricercatori hanno ricostruito l’aspetto dell’ antenato di tutti i mammiferi dotati di placenta e, soprattutto, gli hanno dato un’età. Precisamente, questo animaletto comparve circa 200-400 mila anni dopo l’estinzione K-Pg, molto più tardi rispetto a quanto ipotizzato sulla base dei soli dati genetici. “Immaginiamo di essere sulla scena del crimine: il DNA è un indizio importante, ma lo è anche il corpo. Per la scienza è la stessa cosa, e solo combinando i dati genetici con quelli fossili siamo riusciti a ricostruire la storia passata con una precisione mai raggiunta prima”, ha spiegato O’Leary.



  

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