risorse per la didattica

lunedì 3 gennaio 2011

2011 - L'anno della chimica


Intervista de "La Repubblica"a
Piergiorgio Odifreddi - 2 gennaio 2011


L'anno dell'atomo


Ogni nuovo anno porta con sé innumerevoli anniversari. Uno dei più significativi del 2011 è sicuramente il centenario del modello atomico, che ha cambiato la nostra percezione del mondo ed è entrato a far parte del nostro immaginario. Lo dimostra il fatto che ancor oggi, dai libri di testo per le scuole ai logo delle organizzazioni nazionali o internazionali, l' atomo si rappresenta come lo pensò per la prima volta Ernest Rutherford nel 1911: cioè, come un sistema solare in miniatura, con un nucleo di protoni e neutroni al posto del Sole, e un sistema di elettroni in orbita attorno ad esso al posto dei pianeti. Naturalmente, non è stato Rutherford a inventare l' atomismo. Anzi, non sono stati neppure gli scienziati moderni. L' idea risale agli antichi greci in generale, e Leucippo e Democrito in particolare. E già un secolo prima della nostra era il poeta latino Lucrezio l' aveva divulgata nel De rerum natura: un meraviglioso poema materialista e razionalista, che farebbe tanto bene agli studenti, se fosse insegnato al posto delle troppe opere idealiste e irrazionaliste. Tra le molte cose utili e belle che Lucrezio dissemina nei suoi versi, ci sono anche gli argomenti a favore dell' esistenza degli atomi. In particolare, quello che sarà poi ripreso da Kant nella seconda antinomia della Critica della ragion pura: «Se non ci fossero gli atomi, ogni corpo consisterebbe di parti infinite, e allora quale sarebbe la differenza fra l' universo e la più piccola delle cose?» Soprattutto, Lucrezio suggerisce che le cose possono essere costituite da atomi invisibili alla vista, attraverso una serie di convincenti analogie. Il pulviscolo atmosferico, reso visibile da un raggio di Sole che penetra in una stanza, e la cui danza offre un modello dell' eterno tumulto degli atomi nel grande vuoto. Oppure, le pecore che si aggirano saltellando sui prati, e i soldati delle legioni che avanzano nei campi, i cui movimenti individuali appaiono indistinti a un osservatore lontano. E infine le parole, che pur essendo tutte costituite delle stesse poche lettere dell' alfabeto, «denotano il cielo, il mare, la terra, i fiumi, il sole, le messi, gli alberi e gli esseri viventi». Nonostante la divulgazione di Lucrezio, i brillanti argomenti degli atomisti non convinsero gli antichi, così come non li avevano convinti gli altrettanto brillanti argomenti degli eliocentristi. Il risultato fu che entrambe queste verità rimasero ibernate per due millenni, fino a quando vennero scongelate dagli scienziati moderni: Galileo, in particolare, che pagò cara la sua audacia in entrambi in campi. Per sdoganare scientificamente la teoria atomica della materia si dovettero aspettare le ricerche chimiche intraprese agli inizi dell' Ottocento da John Dalton. Ma ancora agli inizi del Novecento, nonostante la sistematizzazione effettuata nel 1869 da Dmitrij Mendeleev con la sua Tavola degli elementi, rimanevano degli scettici. Primo fra tutti Wilhelm Ostwald, premio Nobel per la chimica nel 1909, che riteneva l' atomismo solo un' utile finzione. La prova definitiva dell' esistenza degli atomi venne da un lavoro del 1905 di Albert Einstein. Non quello più famoso sulla relatività speciale, ma uno precedente «sul moto di piccole particelle in sospensione nei liquidi a riposo», scoperto nel 1823 da Robert Brown e osservabile al microscopio. La prima impressione è che si tratti di una qualche forma di vita, ma Einstein dimostrò che il movimento è in realtà prodotto dalla vibrazione delle molecole atomiche che compongono il liquido. Secondo un' immagine di Richard Feynman, che possedeva un po' del talento lieve di Lucrezio, è come se noi osservassimo da molto lontano delle enormi palle in uno stadio (le particelle in sospensione), urtate da una folla di persone che va e viene (le molecole del liquido), ma che non riusciamo a distinguere per la distanza. Vedremmo allora soltanto le palle muoversi, con un incessante movimento irregolare (il moto browniano). Ovviamente, il problema fondamentale dell' atomismo riguarda la struttura stessa degli atomi. Lucrezio li immaginava provvisti di uncini. Nel 1696 Niklaas Hartsoecker sostituì agli uncini degli aculei. Nel 1808 Dalton passò alle palle da biliardo. Ma le cose si complicarono nel 1897, quando Joseph Thomson scoprì che gli atomi non erano affatto indivisibili e risultavano invece composti di particelle positive pesanti (protoni) e particelle negative leggere (elettroni). La scoperta gli fruttò il premio Nobel per la fisica nel 1906,e gli ispirò un modello in cui gli elettroni erano conficcati nella pallina del nucleo come le uvette nel panettone. Alla fine di questa lunga storia arrivò finalmente Rutherford, che nel 1908 scoprì che se si sparavano delle particelle alfa leggere contro una sottilissima lamina di un materiale pesante come l' oro, la maggior parte di esse l' attraversava senza deviare la propria traiettoria: dunque, la materia doveva essere in massima parte vuota. Ma a volte alcune di quelle particelle rimbalzavano indietro, come se avessero incontrato un ostacolo: dunque, la materia doveva essere in massima parte concentrata in un nucleo pesante. La scoperta valse a Rutherford il premio Nobel per la chimica quello stesso anno. Poi, nel 1911, propose finalmente il modello planetario che, a onor del vero, oggi è doppiamente sorpassato. Anzitutto perché, come scoprì il suo studente Niels Bohr nel 1913, non è stabile: per renderlo tale, bisogna supporre che gli elettroni non possano stare a qualunque distanza dal nucleo, come i pianeti col Sole, ma solo a particolari distanze fisse. E poi, perché gli elettroni non sono in realtà palline, ma nubi: dunque, risultano più simili a fasce di asteroidi che a pianeti. Ma tant' è, il modello è troppo bello per essere abbandonato,e noi continuiamo a mostrarlo e amarlo. Così come facciamo con le foto che ci ricordano i bei tempi andati, quando ci sentivamo tanto più giovani e belli, benché fossimo solo molto più semplici e ingenui. -

PIERGIORGIO ODIFREDDI

Fonte: La Domenica di Repubblica

Nessun commento:

Posta un commento